martes, 10 de julio de 2012

Ecuador:ai voti la riforma del latifondo radiotelevisivo

52% delle frequenze radio ed il 38% di quelle Tv passano allo Stato e alla società civile 
V. Piumoso occhioclinico
Domani si terrà la votazione del parlamento ecuadoregno sulla clamorosa riforma dell'etere proposta dal governo Correa. l'esito non è scontatocredo che sia muy interessante dare un'occhiata a quanto previsto della nuova normativa (qui il testo originale approvato dal consiglio dei ministri ad aprile). 
seguendo l'articolo de El Comercio, quotidiano conservatore ed uno dei due più diffusi in ecuador, la legge in esame riassegna il 52% delle frequenze radio ed il 38% di quelle Tv, per
un totale di 807, che passeranno dai privati in parte allo stato e, soprattutto, alle comunità locali. i grafici seguenti, tratti dallo stesso articolo linkato, sono molto chiari.
media comunitari passano da (quasi) nulla al 34% delle frequenze. un terzo delle frequenze va allo stato (che incrementa lievemente per quanto riguarda le frequenze Tv, quasi triplica per quelle radio). un terzo rimane ai privati.

perfino l'unione europea, in teoria, incoraggia i media comunitari locali, "organizzazioni senza fini di lucro responsabili dinanzi alla comunità cui intendono fornire un servizio", che"costituiscono uno strumento efficace per rafforzare la diversità culturale e linguistica, l'inclusione sociale e l'identità locale", e che "contribuiscono a rafforzare il pluralismo dei mezzi di comunicazione, presentando punti di vista diversi su questioni di particolare rilevanza per una determinata comunità".

lo stesso documento (A6-0263/2008, approvato con l'opinione contraria di popolari e liberali, sic!) continua sottolineando come, "a fronte della soppressione o dell'inesistenza di servizi mediatici pubblici o commerciali in alcune zone, incluse le zone periferiche, e della tendenza da parte dei media commerciali a ridurre la programmazione locale, i media comunitari possono rappresentare l'unica fonte di notizie e informazioni a livello locale e l'unica possibilità di espressione delle comunità locali".

la nuova carta ecuadoriana, simile all'analoga legge argentina promulgata nel 2009, sarebbe in sintonia con tali dichiarazioni di principio. in effetti all'art.92 si legge ad esempio che l'obiettivo della legge è istituire un "mecanismo para promover la pluralidad, diversidad, interculturalidad y plurinacionalidad".

in italia abbiamo avuto esperienze di media comunitari, da radio out di peppino impastato a telejato di pino maniàci (sito internet). media comunitari compaiono in letteratura, ad esempio nelle pagine di luis sepulveda ("Patagonia express").

il governo Correa ha dunque proposto una vera e propria "riforma agraria" del "latifondo" radiotelevisivo, già presentata dai media locali privati (e scommetto presto dalla nostra stampa, compresa quella che urlava contro il "regime mediatico" di berlusconi) come "un attacco alla democrazia".
questione che merita un più ampio commento.
* * *
uno dei principali problemi del continente latinoamericano è, ed è sempre stato, il totale asservimento dei mezzi di comunicazione ai monopoli privati. se questo è un tema più generale e che investe anche il così detto "occidente", in america latina è sempre stata una questione divaricante, una strettoia della democrazia, un lasciapassare per l'inferno. 

radio e tv sono da sempre attori più che attivi nella (de)stabilizzazione dei governi. un potere usato anche all'estremo, invitando senza alcun tema all'assassinio di presidenti, politici, attivisti poco grati ai latifondisti, alle multinazionali od a washington. un potere che spianò la strada ai colonnelli nei decenni passati.

l'esempio del venezuela è lampante. suggerisco la lettura di questo articolo del 2009, sulle vicende di Rctv e Globovision, il loro ruolo nel golpe del 2002 ed il loro comportamento negli anni seguenti, fino alla revoca della licenza (se poi avete tempo e voglia, ci sarebbero anche i contributi linkati in coda a questo post). 

l'affaire Rctv e l'affaire Globovision sono stati presentati dalla stampa locale dei grandi proprietari / imprenditori / impresari (la stragrande maggioranza della stampa del venezuela) e da quella "occidentale" in blocco, come un violento attacco alla libertà di espressione.
ciò non è affatto vero.

al contrario, è stata una questione di estensione del pluralismo delle voci, e quindi una decisa azione verso la creazione di una effettiva democrazia. è stata una questione giuridica, ovvero porre fine agli incitamenti all'odio ed all'assassinio. è stata anche una questione di tasse: evase in gran quantità.

è chiaro che per i governi occidentali fu un'occasione ghiotta per demonizzare un avversario, per dirla alla galeano spacciando la libertà di pressione per libertà di espressione.
che a noi questo vada bene è un problema nostro. un nostro problema culturale. è qualcosa che riguarda la limitazione delle nostre libertà e l'indebolimento della nostra democrazia 
non una questione di (presunta) mancanza di democrazia altrui.

dall'altro lato, oltre a rendere necessario un riequilibrio, nell'ottica della costruzione di un nuovo modello sociale basato sulla partecipazione, non sarebbe sufficiente dividere le frequenze esattamente a metà fra stato e privati. la riforma ecuadoregna, come prima quella argentina e come anche alcune direttive venezuelane, ha cercato di dare seguito proprio alla richiesta di democrazia partecipativa.

che i gruppi classici di potere economico (pesantemente reazionari nel continente) vedano una riforma del genere come un attentato alla libertà è ovvio: il loro strapotere mediatico ne viene limitato. ma è presente anche un baco culturale, un'incapacità oggettiva di capire che la voce delle comunità locali non coincide necessariamente con quella dei governi di sinistra.

è certamente vero che proprio tali comunità hanno spinto in questi anni per il cambiamento, e negli anni passati hanno lottato per la propria vita, contribuendo all'uscita dal tunnel neoliberale. a titolo di esempio, pensate alle due guerre per l'acqua ed alla guerra per il gas in bolivia dal 2000 al 2005, che infine portarono alla cacciata di gonzalo sanchez de losada. e le fitte reti sociali che hanno permesso ad intere etnie, villaggi, popoli di resistere sotto ferocissime dittature, anche con l'aiuto delle radio locali.

è quindi certamente vero quanto sottolineò nel 2003 gabriela fuentes, presidente dell'Anmcla (Associazione nazionale dei media comunitari, liberi e alternativi del venezuela): 
"Non si può dare il via a un cambiamento sociale se la parola è monopolizzata dall'altro. Per costruire tutti insieme la società che sogniamo dobbiamo avere tuttiuno spazio per esprimerci. Altrimenti ci sarà qualcun altro che farà il cambiamento al nostro posto.

 in questa fase storica molte delle politiche dei governi latinoamericani coincidono con gli interessi dei cittadini, dove intendo il significato più pieno di "cittadino", come persona che partecipa attivamente alla "cosa pubblica" della città (estendiamo al territorio, allo stato) e ne è protagonista.

ma, esempio. io ho un orto ed un pozzo che mi danno sussistenza. il governo che ho votato decide di sottrarmeli, e ragalarli ad una impresa amica, nazionale o straniera che sia, o di farci gli affaracci suoi: "spiacente, devi fare a meno della tua acqua, arrangiati e cazzi tuoi se crepi di sete". a meno che non sia del tutto fuori di testa, non lo difendo di certo, tal governo, davanti ai microfoni della mia radio.

non riescono, le destre di tutto il mondo d'oggi, dall'america latina all'europa (e qui in mezzo ci sono purtroppo i partiti eredi della tradizione socialdemocratica e financo socialista del vecchio continente), a capire questa banalità: se evitano di affamare, ed anche peggio, i loro cittadini, questi li sosterranno o quanto meno non avranno un atteggiamento pregiudizialmente ostico verso di loro.
del resto uno stato dovrebbe curare gli interessi di tutta la popolazione.
o no?
* * *
dunque il mondo a due velocità si divarica sempre più.
se usassimo per gioco la suddivisione manichea del globo secondo la dottrina bush, avremmo:

da un lato, l'"asse del bene". gli adepti del neoliberismo selvaggio con il coltello fra i denti a difendere privilegi e violentare paesi, popoli e democrazie (fittizie). che ve(n)dono la crisi permanente e la guerra come uniche vie d'uscita per sopravvivere. non dicono che si parla unicamente di loro sopravvivenza. che svuotano ed annullano l'efficacia delle strutture democratiche create nei due secoli passati all'interno delle loro stesse nazioni. che hanno tutti i media corporativi al loro servizio, annullando le supposte divisioni fra le sedicenti "destra" e "sinistra". il punto di vista è identico per entrambi gli schieramenti, due fazioni di un'unica mafia globale.

dall'altro, l'"asse del male". imperniato sui paesi integrazionisti e progressisti latinoamericani, che nei decenni della lunga notte neoliberale hanno sviluppato gli anticorpi necessari per questa levantada. oltre all'emancipazione ed al benessere delle proprie popolazioni, sono diventati un clamoroso esempio di democrazia (reale) partecipativa in costruzione. che delegano in continuazione poteri ai cittadini ed alle comunità - locali, rurali, indigene. che -non certo senza errori- cercano di dare pienezza e compiutezza al termine "democrazia". che, per tutto questo, sono viste dalle nostre elites -e quindi da noi, che ci abbeveriamo alla loro fonte- come dittature repressive.

blocco latinoamericano che, tra parentesi, è quello che meno sta subendo la crisi economica (The Proust Index, The Economist, 25.2.2012). cercando la causa prima, è perché il suo motore politico ed economico si è affrancato dalla stretta mortale di washington, madrid e degli organismi finanziari sovranazionali.


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